Cos’è il Contact Tracing – può essere utile a combattere l’emergenza Coronavirus?

Il contact tracing è senza dubbio uno degli strumenti che le autorità hanno a disposizione nella lotta contro la diffusione del coronavirus. Infatti, se usato assieme ad una diagnosi veloce, ad una gestione dei malati organizzata ed efficiente e alla previsione di norme limitative della libertà di movimento, è possibile ridurre concretamente l’estendersi del contagio da COVID-19.

Il contact tracing consiste nell’individuazione di tutti i contatti avuti da una persona dichiarata positiva nei 14 giorni precedenti la scoperta della sua positività. Lo scopo è individuare possibili nuovi soggetti contagiati ed arrestare immediatamente la nascita di un potenziale nuovo focolaio epidemiologico.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sta insistendo affinché le Nazioni colpite dall’epidemia si concentrino sull’individuazione di tutti i contatti tra persone infette e non, invitando quindi ad implementare misure di contact tracing.

Ad oggi in Italia, il contact tracing viene realizzato “manualmente” mediante cioè la richiesta al paziente scoperto positivo di informazioni relative a tutte le persone con cui è entrato in contatto nelle settimane precedenti.
Successivamente si cerca di contattare queste persone per avvisarle ed eventualmente effettuare anche a loro il test nel caso in cui risultino sintomatiche.
È poi prevista una mappatura manuale al fine di individuare le zone di maggior interesse.

Tuttavia, alcuni Stati stanno utilizzando un sistema di contact tracing decisamente più innovativo e tecnologico, che consente risultati migliori, più veloci e più accurati.

Stiamo parlando del contact tracing mediante l’utilizzo dei big data e quindi mediante informazioni e dati ricavati direttamente dai cellulari dei cittadini (e non solo) e condivisi tramite applicazioni appositamente realizzate.

FUNZIONAMENTO DEL  CONTACT TRACING

Cina, Corea del Sud e Israele hanno implementato su larga scala l’utilizzo de contact tracing per il contrasto alla diffusione del Coronavirus ricorrendo all’utilizzo di tecnologie digitali per ricostruire l’intera catena di contagio.

I dati di geolocalizzazione delle persone positive al tampone (uso delle carte di credito, geolocalizzazione dei cellulari, post sui social network, ecc.) sono elaborati al fine di riuscire a mappare nel modo più completo possibile tutti i movimenti, i luoghi visitati e le persone contattate nel periodo antecedente.

I risultati sono elaborati, in modo anonimo, su una mappa digitale visionabile da tutti i cittadini tramite app scaricabile sullo smartphone, che permette di vedere le zone del Paese in cui i soggetti contagiati hanno transitato.

In Sud Corea, l’utilizzo di una tecnologia simile, unita ad un’accelerazione del processo di diagnosi mediante l’effettuazione di oltre 20 mila tamponi al giorno, ha contribuito in modo incredibile alla riduzione del contagio, permettendo l’isolamento di persone e intere aree contagiate o a rischio contagio.

L’enorme quantità di big data, le informazioni personali che quotidianamente forniamo con l’utilizzo dei social, dei navigatori satellitari e delle app che utilizziamo, consentono non solo di tracciare il percorso del virus ma anche di prevederne sviluppo e diffusione.

CONTACT TRACING E PRIVACY

Le potenzialità di questa tecnologia sono evidenti.
Ad un’analisi più attenta però, non ci si può non domandare fino a che punto sia lecito incidere sulla privacy delle persone.

Vero è che i dati condivisi sui telefoni dei cittadini sono completamente anonimizzati, e quindi risulterebbe “impossibile” per coloro che usufruiscono dell’applicazione risalire all’identità delle persone tracciate e coinvolte. D’altro canto, affinché questa tecnologia possa funzionare, è necessario che dati personali e sensibili vengano utilizzati, analizzati e condivisi dall’Autorità Statale, in modo automatico e preventivo, senza possibilità di obiezione da parte dell’interessato.

La questione è delicata e si basa sostanzialmente sul bilanciamento di interessi quali il diritto alla libertà di movimento e alla tutela dei dati, con quelli relativi alla salute pubblica.

Invero che, ad oggi, anche senza l’utilizzo del contact tracing con tecnologie digitali,  tutti noi siamo comunque obbligati, in caso di richiesta dall’autorità, a fornire indicazioni sui movimenti effettuati nelle settimane precedenti e sulle persone incontrate.
E’ ipotizzabile allora spingersi sino a fare la stessa cosa con l’utilizzo di intelligenza artificiale e mediante l’elaborazione di big data derivati direttamente dai nostri devices? E farlo senza la nostra preventiva autorizzazione?

Quale il limite al controllo?

Indubbiamente e al fine di evitare un utilizzo improprio dei dati, sarebbe necessario che anche in una situazione di emergenza venissero rispettate le direttive ed i principi enunciati nel GDPR (Regolamento Europeo 2016/679). Nello specifico, le norme previste in materia di finalità e basi giuridiche in un’ottica di prevenzione e contenimento della diffusione del virus.

E’ inoltre indispensabile che vengano prese tutte le misure necessarie alla più completa anonimizzazione dei dati sin dal momento della raccolta.

Infine, occorre che sia prevista e attuata una completa policy relativa al limite temporale entro il quale i dati potranno e dovranno essere utilizzati, sempre nel rispetto del raggiungimento della finalità prefissata.

Va peraltro ricordato che ad oggi, ai sensi del decreto DPCM 9 marzo 2020, si è di fatto introdotta un’apertura concreta allo sviluppo di questa tecnologia in Italia. È prevista, infatti, per la Protezione Civile, la possibilità di trattare dati personali ed anche sensibili per la gestione dell’emergenza sanitaria in corso.

 

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Giovanni Brancalion Spadon

Giovanni Brancalion Spadon

Nato a Venezia, ha studiato presso l’Università di Bologna e presso l’UCLA California, è iscritto all’Albo Avvocati di Venezia dal 2004. Dopo la laurea ha conseguito un master in Diritto delle Nuove Tecnologie, uno in Diritto Ambientale e uno in Diritto d’Autore e dello spettacolo e si è specializzato in Blockchain Technologies presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston. Docente presso la Business School dell’Università Ca’Foscari di Venezia, collabora con istituti di formazione per le materie connesse al diritto delle nuove tecnologie, alla privacy e alla blockchain e relative applicazioni, all’amministrazione digitale; è consulente di P.A. per la digitalizzazione e l'adeguamento GDPR. Socio fondatore di Porto4, è dedicato principalmente ai programmi 4ANALYSIS - analisi strategica d'Impresa, 4 GDPR  e 4FORMAZIONE - per la diffusione della cultura legale nelle imprese. Da oltre 15 anni opera nel diritto delle nuove tecnologie, industriale, d’autore e societario. E’ interessato ai processi d’innovazione in ogni ambito, appassionato d’arte contemporanea e insegna teatro.