“Un individuo chiave con una vasta rete di contatti, che svolge un ruolo attivo nel plasmare le opinioni degli altri all’interno di un’area tematica, in genere attraverso la loro esperienza, popolarità o reputazione”: questa la definizione di influencer data dall’Oxford University Press in A Dictionary of Social Media, definizione che dovrà probabilmente essere ben presto modificata, alla luce del crescente fenomeno degli AI influencers, personalità generate e controllate tramite tecniche di machine learning, progettazione 3D e tecnologie algoritmiche.
La posizione dell’influencer infatti, sebbene consolidata, è oggi oggetto di continue evoluzioni dovute anche all’utilizzo crescente delle tecnologie algoritmiche. Come rivelato da una recente ricerca di Hypeauditor, a partire dal 2016, ed in modo più pressante dal 2018, gli AI influencer sono sbarcati su tutte le piattaforme social esistenti con forza dirompente, guadagnando un engagement rate (il tasso di coinvolgimento che viene utilizzato per misurare il livello di interazione dei follower con i contenuti creati da un utente) quasi tre volte maggiore rispetto all’engagement rate medio di un reale influencer, con un trend in crescita1. L’avvento dei virtual influencer ha già determinato un cambio di passo nel mondo del marketing, con la creazione di nuovi ambiti comunicativi, ma anche nuovi paradigmi economici e giuridici, che meritano già ora di essere esplorati.
Il fenomeno degli AI influencer: Lil Miquela, Nefelə e gli altri
Nella bio Instagram di Lil Miquela, una delle più popolari AI influencer oggi conosciute, si legge “19-year-old Robot living in LA”; la sua scheda Wikipedia la descrive come una cantante (ha pubblicato circa 15 singoli dal 2017 ad oggi) un’Instagram influencer e una modella digitale. Con un seguito di 3.1 milioni di follower su Instagram e 280.000 iscritti al canale YouTube, Lil Miquela è il volto di campagne di famosi brand quali Prada e Nike, è apparsa sulle pagine di Vogue e V, ed ha usato la sua voce per parlare di vari problemi sociali (quali il cambiamento climatico e il movimento Black Lives Matter). Nei suoi account social appaiono video e fotografie che la ritraggono insieme ad amici, persone realmente esistenti ma anche altri soggetti creati digitalmente, mentre cena, balla o semplicemente esce per fare la spesa: contenuti tipici delle influencer’s platform, con la particolarità per cui Miquela non esiste, ma è al cento per cento frutto di un attento lavoro di programmazione.
L’AI influencer è infatti un progetto della società americana Brud, creatrice di altri “colleghi” di Miquela (come Blawko e Bermuda): il progetto nato nel 2016 ha visto un interesse crescente da parte del mondo del social media marketing, tanto che oggi Lil Miquela è rappresentata dalla società di pubbliche relazioni Huxley, e nel 2018 è apparsa nell’elenco delle 25 persone più influenti di internet stilata da Time’s Magazine2.
Come Miquela, ad oggi si contano circa 130 virtual influencer, “provenienti” da tutto il mondo e presenti nelle maggiori piattaforme social (Instagram, YouTube e Tik Tok), e tutti collaborano con vari brand del mondo del lusso e della moda. Anche l’Italia ha ora la sua prima virtual influencer: si chiama Nefelə (nome che richiama la mitologia greca) ed è stata progettata da tre ragazzi torinesi con l’obiettivo di creare un nuovo panorama comunicativo in grado di abbracciare e accogliere la diversità e le imperfezioni, in un’ottica inclusiva.
Nella sua pagina Linkedin Nefelə si descrive come una non-binary virtual influencer e prossimo abitante del Metaverso. Ed è anche con riferimento al Metaverso che il caso virtual influencer merita di essere approfondito: si stima infatti che il fenomeno vedrà un ulteriore crescita con l’avvento di Meta (il nuovo nome di FaceBook) anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Mark Zuckerberg durante la presentazione del progetto3: Meta farà del mondo virtuale il suo fulcro, investendo numerose risorse per attrarre creatori e sviluppatori digitali che produrranno contenuti per il Metaverso, e tale tendenza, che con tutta probabilità sconvolgerà il mondo del social media marketing come oggi lo conosciamo, sta già coinvolgendo i maggiori brand interessati ad occupare per primi questo nuovo spazio comunicativo.
Come cambia il panorama della contrattualistica applicata agli AI influencer
La diffusione degli AI influencer si rivela quindi particolarmente interessante, non solo dal punto di vista tecnologico ed etico, ma anche dal punto di vista giuridico contrattuale, soprattutto per ciò che concerne la gestione dei contratti di sponsorizzazione tra brand e virtual influencer.
L’AI influencer appare infatti uno sponsee (con il contratto di sponsorizzazione un soggetto – c.d. sponsee o sponsorizzato – si obbliga a consentire ad un altro soggetto – c.d. sponsor – l’uso della propria immagine pubblica o del proprio nome, per promuovere, dietro corrispettivo, un prodotto o un marchio) tecnicamente perfetto: non commette errori, non invecchia e il suo aspetto fisico non si modifica (a meno che ciò non sia previsto dal software), può produrre contenuti che si adattino perfettamente alle richieste del brand e permette l’abbattimento di tutta una serie di costi e spese.
L’impiego di un virtual influencer (che aumenta i costi di produzione dei veri e propri contenuti, si pensi all’editing 3D) comporta però sicuramente tutta una serie di problematiche contrattuali meritevoli di considerazione.
In primo luogo, l’individuazione contrattuale dei diritti di proprietà intellettuale dovrà essere particolarmente strutturata e dovrà prevedere una differenziazione tra i diritti di proprietà intellettuale sull’influencer, che è per primo una creazione, e sul contenuto creato dall’influencer stesso insieme al prodotto del brand, e ciò anche alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali utili. Nell’identificazione della titolarità dei diritti di proprietà intellettuale sui contenuti creati, si ritiene questa non potrà essere attribuita al virtual influencer, anche sulla scorta di un’interpretazione in analogia di una recente pronuncia del Legal Board of Appeal dell’EPO, nei casi congiunti J 8/20 e J 9/20, ove è stata rigettata la pretesa di designazione di un algoritmo come inventore di un brevetto europeo, nel quadro della European Patent Convention, partendo dalla considerazione per la quale l’inventore di un brevetto debba essere un soggetto avente capacità giuridica4.
Per ovviare al problema dell’identificazione della proprietà intellettuale dei contenuti, ad esempio, c’è anche chi ha eliminato il problema alla radice creando in casa i propri virtual influencer: la casa di moda francese Balmain ha creato un “virtual army” proprietario, per sponsorizzare i propri prodotti, accaparrandosi i diritti non solo sui contenuti ma anche sull’AI influencer stesso5.
Dovranno inoltre essere regolati in modo stringente gli obblighi di protezione volti ad evitare danni all’immagine del brand, per far sì che il rapporto nascente dal contratto di sponsor non veda leso, per il “comportamento” dell’influencer, il carattere fiduciario tipico di tale accordo (un esempio da non imitare è la campagna di Calvin Klein che ha visto coinvolte la modella Bella Hadid e l’AI influencer Lil Miquela: il video, che ritrae le due modelle in atteggiamenti intimi che sfociano poi in un bacio, è costato un comunicato ufficiale di scuse da parte del brand, per aver offeso la comunità LGBTQ+ tramite una rappresentazione “surreale” di tale rapporto). I virtual influencer sono programmati e controllati da soggetti che potrebbero agire in contrasto con gli ideali del marchio6, pertanto, i contratti dovranno includere clausole morali che coprano l’identità virtuale e il creatore.
Dovranno inoltre essere previste delle clausole specifiche che garantiscano, da parte dell’influencer e del creatore, il rispetto di particolari regole di trasparenza (ad esempio dei regolamenti adottati dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) che si ritiene coinvolgeranno in modo diretto l’influencer, il quale in primo luogo dovrà dichiarare di non essere una persona reale.
Da un punto di vista giuridico, quindi, si ritiene dovrà essere riservata una particolare attenzione alla costruzione dell’impianto contrattuale tra creatore e brand, al fine di preservare la brand reputation e tutti i diritti di proprietà intellettuale sulle varie creazioni coinvolte, virtual influencer in primis.
Un nuovo archetipo comunicativo
Il virtual influencer, insomma, sembra il candidato perfetto nella selezione del miglior “collaboratore” digitale ad una prima lettura, considerato tutto quanto sopra detto, nonché l’alto grado di engagement rate garantito in questi casi, anche se la sua assoluta diffusione nel mercato sembra in questo momento essere frenata da esigenze di credibilità e affinità di campo con il pubblico, che richiedono essenzialmente un tocco umano.
Nonostante ciò, il fenomeno esiste ed è già in forte espansione, ed è quindi sicuramente meritevole di attenzione.
Gli AI influencer rappresentano un nuovo archetipo comunicativo, che si aprirà velocemente a panorami sino ad oggi inesplorati: sapremo stare al passo?